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Per Aspera Ad Veritatem n.25
L’ultimo saluto. Epilogo / His last bow. An epilogue of Sherlock Holmes

Arthur Conan Doyle



Sherlock Holmes, il celebre poliziotto nato dalla fervida fantasia dello scrittore scozzese Conan Doyle, è il protagonista della raccolta “His Last Bow”, da cui abbiamo estratto “Epilogo”, la novella che pubblichiamo qui di seguito.
Negli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale gli agenti inglesi smantellarono una rete di spie tedesche sul territorio britannico, inferendo un colpo gravissimo all’Alto Comando tedesco. In tale scenario è ambientato il racconto, in cui il famoso detective, coadiuvato dal fedele assistente Watson, smaschera la più importante spia tedesca in Gran Bretagna (Von Bork), dopo una laboriosa attività di infiltrazione, durata due anni, all’interno di una società segreta irlandese a Buffalo negli Stati Uniti, dove Holmes-Altamont si era fatto notare causando numerosi guai alla Polizia per attirare l’attenzione di uno degli agenti della rete ed essere raccomandato allo stesso Von Bork.

Erano le nove di sera del 2 agosto – l’agosto più terribile nella storia della terra. Si sarebbe potuto pensare che già la maledizione divina gravava pesantemente su un mondo degenerato, e l’aria afosa e stagnante era pervasa da una quiete impressionante, un senso di attesa indistinta. Il sole era tramontato da un pezzo ma lontano, all’orizzonte, uno squarcio rosso sangue sembrava una ferita aperta. Le stelle brillavano in cielo e nella baia occhieggiavano le luci delle imbarcazioni. I due famosi tedeschi erano appoggiati al parapetto di pietra del viale alberato dando le spalle alla casa lunga, bassa, col tetto a spioventi, e guardavano in basso, verso la spiaggia, ai piedi dell’alta scogliera dove, quattro anni prima, Von Bork si era rifugiato, come un’aquila errante. Con le teste ravvicinate, parlottavano in tono sommesso e confidenziale e, viste dal basso, le estremità luminose dei sigari accesi potevano sembrare gli occhi di bragia di una qualche malevola creatura che scrutasse nel buio.
Un uomo straordinario, questo Von Bork – un uomo che non aveva rivali fra i fedeli agenti del Kaiser. Erano state le sue qualità a fargli affidare la missione inglese, la più importante di tutte; ma, da quel momento, le sue qualità si erano rivelate sempre più chiaramente a quella mezza dozzina di persone al mondo che conoscevano la verità. Una di quelle persone era appunto il suo compagno, il barone Von Herling, primo segretario della Legazione, la cui potente Benz da 100 cavalli bloccava il sentiero in attesa di ricondurre a Londra il suo proprietario.
«Per quanto posso giudicare, visto come stanno andando le cose, probabilmente in settimana lei sarà di nuovo a Berlino», stava dicendo il segretario. «E credo proprio, caro Von Bork, che rimarrà sorpreso dell’accoglienza che le faranno al suo arrivo. Si dà il caso che io sappia cosa pensano le alte sfere del lavoro che lei ha svolto in questo paese.» Era un individuo imponente, il segretario, grande e grosso con un modo di parlare lento e ponderato che gli era stato utilissimo nella sua carriera politica.
Von Bork si mise a ridere.
«Non è difficile ingannarli», osservò. «Non saprei immaginare gente più ingenua e suggestionabile.»
«In quanto a questo, non saprei», disse il suo compagno in tono pensieroso. «Hanno strane limitazioni e bisogna imparare ad osservarle. È proprio quella loro apparente ingenuità che costituisce una trappola per lo straniero. La prima impressione è che siano gente totalmente malleabile. Poi, all’improvviso, ci si trova difronte a qualcosa di molto duro e ci si rende conto di aver raggiunto il limite, e di doverne prendere atto. Per esempio, hanno le loro convenzioni insulari che vanno assolutamente rispettate.»
«Intende dire “buona creanza” e cose del genere?», sospirò Von Bork con l’aria dell’individuo molto provato.
«Intendo dire i pregiudizi britannici in tutte le loro peculiari manifestazioni. Posso citarle ad esempio uno dei miei errori peggiori – posso permettermi di parlare dei miei errori dato che lei è abbastanza al corrente del mio lavoro da conoscerne i successi. Ero appena arrivato. Fui invitato per il fine settimana nella casa di campagna di un ministro di Gabinetto. Si facevano discorsi sorprendentemente indiscreti.»
Von Bork annuì. «Ci sono stato anch’io», disse seccamente «Appunto. Be’, naturalmente inviai un riassunto delle informazioni a Berlino. Sfortunatamente, il nostro caro cancelliere ha un po’ la mano pesante in queste cose e trasmise un’osservazione che dimostrava come fosse al corrente di quanto era stato detto. Il che, naturalmente, fece subito risalire la traccia fino a me. E non ha idea di che danno ne abbia riportato. In quell’occasione, posso assicurarle che non ci fu proprio niente di malleabile nei nostri anfitrioni britannici. Ci son voluti due anni perché la cosa fosse messa a tacere. Ora, lei, con questa sua posa di sportivo...»
«No, no, non la chiami una posa. Una posa è qualcosa di artificiale mentre il mio è un atteggiamento del tutto naturale. Sono uno sportivo nato. Lo sport mi piace.»
«Be’, questo rende il suo lavoro ancora più efficiente. Gareggia con loro sul panfilo, va a caccia con loro, gioca a polo, partecipa a ogni loro gioco, il suo tiro a quattro vince il premio a Olimpia. Ho sentito dire che è arrivato al punto di sostenere incontri di pugilato con i giovani ufficiali. E qual è il risultato? Nessuno la prende sul serio. Lei è “un bel tipo”, “brava persona, per essere un tedesco”, un giovanotto temerario, buon bevitore, amante dei night club, un allegro compagnone. E per tutto il tempo questa sua tranquilla casa di campagna è il centro da cui nasce la metà dei guai dell’Inghilterra, e lo sportivo signorotto è l’agente segreto più astuto di tutt’Europa. Genio, mio caro Von Bork - genio!»
«Lei mi lusinga, barone. Ma in effetti posso affermare che i miei quattro anni in questo paese non sono stati improduttivi. Non le ho mai mostrato il mio piccolo deposito. Le spiacerebbe entrare un momento?»
La porta dello studio dava direttamente sulla terrazza. Von Bork la spinse e, facendo strada, premette l’interruttore della luce. Poi richiuse la porta alle spalle della massiccia figura che lo seguiva e accostò accuratamente le pesanti tende che schermavano i vetri della finestra. Solo dopo aver preso, e controllato, queste precauzioni, volse il suo viso aquilino verso l’ospite.
«Mancano alcune carte», disse. «Mia moglie e il personale sono partiti ieri per Flushing portando con sé quelle meno importanti. Per le altre devo, naturalmente, chiedere la protezione dell’ambasciata.»
«Il suo nome è già stato registrato fra quelli del corpo diplomatico. Non ci saranno difficoltà né per lei né per il suo bagaglio. È anche possibile che non dovremo partire affatto. Può darsi che l’Inghilterra abbandoni la Francia al suo destino. Siamo sicuri che non esiste fra loro alcun trattato vincolante.»
«E il Belgio?»
«Lo stesso.»
Von Bork scosse il capo. «Non vedo come sia possibile. In quel caso, c’è un trattato ben definito. Il paese non potrebbe mai riprendersi da una simile umiliazione.»
«Se non altro, per il momento avrebbe la pace.»
«Ma il suo onore?»
«Ma via, signore, viviamo in un’epoca pratica. L’onore è un concetto medioevale. Inoltre, l’Inghilterra non è pronta. E inconcepibile, ma nemmeno la nostra speciale tassa di guerra di cinquanta milioni, che avrebbe dovuto rendere il nostro scopo chiaro come se fosse stato pubblicato sulla prima pagina del Times, è riuscita a scuotere questa gente dal loro torpore. Ogni tanto, qualcuno pone delle domande. Ed è mio compito trovare le risposte. Ogni tanto emerge una certa irritazione. Ed è mio compito placarla. Ma le garantisco che per quanto riguarda le cose essenziali – i depositi di munizioni, le preparazioni per un attacco dei sottomarini, i preparativi per la fabbricazione di esplosivi ad alto potenziale – non c’è niente di pronto. E allora, come può l’Inghilterra intervenire, specialmente dopo che abbiamo portato a bollore quel calderone infernale della guerra civile irlandese, quelle furie scatenate che mandano in frantumi le vetrine, e Dio sa che altro per costringerla ad occuparsi esclusivamente
dei guai di casa propria.»
«Deve pensare al suo futuro.»
«Ah, quella è un’altra faccenda. Credo che in futuro avremo i nostri piani ben precisi sull’Inghilterra, e che le sue informazioni saranno per noi di vitale importanza. John Bull ha i giorni contati – oggi o domani. E se preferisce oggi, siamo prontissimi. Se sarà domani, saremo ancora più pronti. Direi che farebbero bene a combattere a fianco degli alleati anziché da soli, ma questo è affar loro. In questa settimana si decide il loro destino. Ma lei mi stava parlando delle sue carte.» Si sedette in poltrona, sotto la lampada che gli illuminava il cranio calvo, fumando tranquillamente il suo sigaro.
La grande stanza, con i pannelli di legno e le librerie tutt’intorno, aveva un’altra tenda nell’angolo più lontano. Una volta scostata, rivelò una grossa cassaforte con le rifiniture in ottone. Von Bork prese una chiavetta dalla catena dell’orologio e, dopo varie manovre con la serratura, aprì il pesante sportello.
«Guardi!», disse scostandosi, con un cenno della mano.
La luce illuminava l’interno della cassaforte e il segretario d’ambasciata guardò con estremo interesse le varie file di casellari pieni di carte. Ogni casellario aveva la sua etichetta e il suo occhio scorse una serie di diciture quali “Guadi”, “Difese Portuali”, “Aerei”, “Irlanda”, “Egitto”, “Forti di Portsmouth”, “La Manica”, “Rosythe” e un’altra dozzina. Ogni casellario rigurgitava di documenti e piani.
«Colossale!», disse il segretario. Posando il sigaro applaudì sommessamente.
«E tutto in quattro anni, barone. Non male, per il signorotto amante del vino e della caccia. Ma la gemma della mia collezione sta per arrivare e c’è già il posto pronto per accoglierla.» Indicò uno spazio sul quale era scritto a stampatello «Segnalazioni navali».
«Ma c’è già un buon dossier.»
«Superato. Cartaccia. L’Ammiragliato, non so come, ha avuto l’allarme e tutti i codici sono stati cambiati. È stato un colpo, barone – il peggior intralcio della mia campagna. Ma grazie al mio libretto d’assegni e al buon Altamont, questa sera tutto sarà di nuovo a posto.»
Il barone guardò l’orologio, con un’esclamazione gutturale di disappunto.
«Bene, non posso trattenermi oltre. Come può immaginare, le cose si stanno muovendo a Carlton Terrace e dobbiamo essere tutti ai nostri posti. Avevo sperato di poter portare qualche notizia del suo colpo grosso. Altamont non le ha dato un’ora precisa?»
Von Bork gli porse un telegramma.

Verrò senza fallo questa sera, con le nuove candele.
Altamont

«Candele, eh?»
«Vede, si fa passare per un esperto meccanico e io ho un garage al completo. Nel nostro codice, ogni cosa è indicata col nome di un pezzo di ricambio. Se parla di radiatore, significa una corazzata; la pompa dell’olio, un incrociatore, e così via. Le candele sono le segnalazioni navali.»
«Da Portsmouth a mezzogiorno», disse il segretario osservando il timbro del telegramma. «A proposito, quanto lo paga?»
«Per questo lavoro particolare, cinquecento sterline. Naturalmente, ha anche uno stipendio.»
«Un farabutto venale. Sono utili, questi traditori, ma mi pesa ogni maledetto centesimo che gli diamo.»
«Nel caso di Altamont, a me non pesa nulla. Fa un ottimo lavoro. Lo pago bene, ma almeno mi consegna merce buona, per dirla come lui. E poi, non è un traditore. Le garantisco che il nostro più accanito Junker pan-germanico ha verso l’Inghilterra i sentimenti di una colombella appena nata, al confronto di un irlandese-americano col dente avvelenato.»
«Oh, irlandese-americano?»
«Se lo sentisse parlare, non avrebbe dubbi. Le assicuro che a volte non riesco a capirlo. Sembra che abbia dichiarato guerra all’inglese del re, oltre che al re dell’Inghilterra. Deve proprio andare? Potrebbe essere qui da un momento all’altro.»
«No, mi spiace, ma mi sono trattenuto più del dovuto. L’aspetteremo domattina presto e quando riceverà quel libro delle segnalazioni attraverso la porticina sui gradini del duca di York potrà apporre trionfalmente la parola fine alla sua attività in Inghilterra. Perbacco! Tokaj!» indicò una bottiglia sigillata e coperta di polvere accanto a due bicchieri su un vassoio.
«Posso offrirle un bicchiere prima che si metta in viaggio?»
«No, grazie. Ma ha tutta l’aria di una celebrazione.»
«Altamont è un intenditore di vini, e si è incapricciato del mio Tokaj. È un tipo suscettibile e bisogna accontentarlo nelle piccole cose. Devo studiarlo, glielo assicuro.» Erano usciti di nuovo sulla terrazza e avevano raggiunto il lato estremo dove, al tocco dell’autista del barone, la grossa macchina vibrò mentre si avviava il motore. «Immagino che quelle siano le luci di Harwich», disse il segretario infilandosi lo spolverino. «Come tutto sembra pacifico e tranquillo. Ma in settimana ci saranno altre luci, e la costa inglese sarà meno tranquilla! E anche i cieli potrebbero non essere più così placidi se il nostro Zeppelin manterrà le sue promesse. A proposito, quella chi è?»Nella casa alle loro spalle solo una finestra era illuminata; dietro i vetri si vedeva una grossa lampada e accanto una donna, con una piacevole faccia da contadina, con una cuffia in testa. Sedeva al tavolo lavorando a maglia e carezzando ogni tanto un grosso gatto nero accovacciato su uno sgabello al suo fianco.
«Quella è Martha, l’unica domestica che mi è rimasta.»
Il segretario ridacchiò.
«Potrebbe quasi impersonare la Britannia», disse, «così totalmente assorta e con quell’aria di pacifica sonnolenza. Be’, au revoir, Von Bork!» Con un ultimo cenno della mano salì in macchina e un attimo dopo i coni di luce dorata dei fari anteriori forarono l’oscurità della notte. Il segretario si lasciò andare sui cuscini della lussuosa limousine, così immerso nelle sue riflessioni circa l’imminente tragedia che incombeva sull’Europa da non accorgersi che la sua macchina, attraversando le tortuose stradine del villaggio, passò accanto a una piccola Ford che proveniva dalla direzione opposta.
Von Bork rientrò a passo lento nello studio dopo che i fanali della limousine scomparvero in distanza. Entrando, notò che la governante aveva spento la lampada ed era andata a coricarsi. Il silenzio che regnava in quella grande casa era un’esperienza nuova per lui, abituato a una famiglia numerosa. Si sentiva però sollevato al pensiero che erano tutti al sicuro, tranne la vecchia rimasta a indugiare in cucina, e che aveva la casa tutta per sé. C’erano molte cose da riordinare nello studio e si mise subito all’opera, finché il suo viso, dai tratti regolari e intenti, s’imporporò al calore delle carte che bruciavano. Accanto al tavolo, era posata una valigia di cuoio nella quale cominciò a riporre sistematicamente e in buon ordine il prezioso contenuto della sua cassaforte. Ma aveva appena cominciato che il suo orecchio acuto percepì il lontano rumore di una macchina. Con un’esclamazione soddisfatta, affibbiò le cinghie della valigia, chiuse la cassaforte, girò la chiave e uscì rapidamente sulla terrazza.
Giusto in tempo per scorgere una piccola vettura che si fermava al cancello. Ne uscì un uomo che avanzò rapidamente verso di lui mentre l’autista, un uomo anziano, robusto, con i baffi grigi, si sistemava con l’aria di chi prevede una lunga attesa.
«Bene?», chiese ansiosamente Von Bork correndo incontro al visitatore.
Per tutta risposta, l’uomo agitò trionfalmente sopra la testa un pacchetto avvolto in carta marrone.
«Questa sera può complimentarsi con me, signore. Finalmente ce l’abbiamo fatta», esclamò.
«Le segnalazioni?»
«Come le ho detto nel telegramma. Dalla prima all’ultima, bandierine, segnali luminosi, Marconi – una copia, badi bene, non l’originale. Sarebbe stato troppo pericoloso. Ma è tutto autentico, su questo può contarci.» Diede una pacca sulla spalla al tedesco con una familiarità che lo fece trasalire.
«Entri», disse. «Sono solo in casa. Stavo solo aspettando questo. Naturalmente è meglio una copia che non l’originale. Se fosse sparito l’originale avrebbero cambiato tutto. Penso che per la copia non ci saranno problemi.»
L’irlandese-americano era entrato nello studio sedendosi in poltrona e stendendo le lunghe gambe. Era un individuo alto, magro, sulla sessantina, con i lineamenti marcati e una barbetta a punta che lo faceva vagamente somigliare alle caricature dello Zio Sam. All’angolo della bocca gli pendeva un sigaro umidiccio, fumato a metà; mentre si accomodava tirò fuori un fiammifero e lo riaccese. «Pronto a partire?» osservò guardandosi intorno. «Senta un po’», aggiunse notando la cassaforte non più nascosta dalla tenda, «non mi dirà che tiene i suoi documenti là dentro?»
«Perché no?»
«Santo cielo, in un barattolo come quello! E la ritengono una spia in gamba! Perfino un ladruncolo Yankee da quattro soldi l’aprirebbe con un apriscatole. Se avessi saputo che le mie lettere sarebbero finite in un coso come quello, non sarei stato tanto cretino da scriverle.»
«Quella cassaforte darebbe del filo da torcere a qualsiasi malintenzionato», rispose Von Bork. «Non c’è utensile che riuscirebbe a tagliare quel metallo.»
«E la serratura?»
«Nemmeno. È a doppia combinazione. Sa cosa vuol dire?»
«Non ne ho la minima idea», rispose l’americano.
«Significa che occorre una parola, oltre a una serie di cifre, per farla funzionare.» Si alzò e indicò un disco a doppio giro intorno alla serratura. «Il disco esterno è per le lettere, quello interno per le cifre.»
«Ok, ok, va bene.»
«Quindi, non è così facile come crede. La feci costruire quattro anni fa e cosa pensa che abbia scelto come parola e cifre?»
«A me lo chiede?»
«Come parola ho scelto agosto e come cifre 1914, ed eccoci qui.»
Sul viso dell’americano si dipinse un ammirato stupore.
«Però, furba, l’idea! Ha calcolato al millimetro!»
«Già, pochi di noi anche allora avrebbero potuto indovinare la data. Eccola, e domattina chiudo bottega.»
«Credo proprio che dovrà trovare una sistemazione anche per me. Non ho nessuna intenzione di rimanermene da solo in questo stramaledetto paese. A quanto vedo, fra una settimana o anche meno John Bull comincerà a scalciare e a impennarsi, e preferisco guardarlo dall’altra sponda della Manica.»
«Ma lei è cittadino americano!»
«E allora? Era cittadino americano anche Jack James, ma adesso sta scontando la pena a Portland. Un piedipiatti britannico se ne infischia se sei un cittadino americano. “Qui siamo in Gran Bretagna, e le leggi sono queste” ti risponde. A proposito di Jack James, signore, mi sembra che lei non faccia un gran che per coprire i suoi uomini.»
«Cosa intende dire?», chiese seccamente Von Bork.
«Be’, è lei che li assume, no? e tocca a lei vedere che non finiscano nei guai. Ma ci finiscono, e quando mai lei ha alzato un dito per aiutarli? Prenda James... »
«E stata tutta colpa sua, e lei lo sa benissimo. Era troppo ostinato per questo tipo di lavoro.»
«James era una testa dura, lo ammetto. Poi c’è stato van Hollis.»
«Era un pazzo.»
«Effettivamente, negli ultimi tempi era un po’ imbranato. Ma c’è di che sentirsi nella fossa dei serpenti quando uno deve recitare una commedia dalla mattina alla sera in mezzo a un centinaio di tizi pronti a scatenarti contro i piedipiatti. Ma, per esempio, Steiner…»
Von Bork ebbe un sussulto e il suo viso acceso si fece improvvisamente pallido.
«Che è successo a Steiner?»
«Be’, l’hanno beccato, ecco tutto. Ieri sera hanno fatto un’irruzione nel suo deposito e adesso lui e tutte le sue carte sono in galera a Portsmouth. Lei se ne va e quel povero diavolo resta in ballo, e gli andrà bene se non ci rimette la pelle. Ecco perché voglio tagliare la corda contemporaneamente a lei.»
Von Bork era un uomo forte e dotato di molto autocontrollo, ma era facile vedere che la notizia lo aveva sconvolto.
«Come avranno fatto ad arrivare a Steiner?», mormorò. «Questo è il colpo peggiore.»
«E c’è mancato poco che non ne avesse uno ancora più brutto, perché credo che mi stiano alle costole.»
«Sta scherzando!»
«Neanche per idea. La mia padrona di casa giù a Fratton si è sentita fare un sacco di domande, e quando l’ho saputo ho capito che era arrivato il momento di alzare i tacchi. Ma quello che mi domando, è come fanno i poliziotti a sapere tante cose? Steiner è il quinto uomo che lei ha perduto da quando ha ingaggiato me e, se non me la filo in fretta, so chi sarà il sesto. Come lo spiega, e non si vergogna a vedere i suoi uomini che cadono come birilli?»
Von Bork avvampò d’ira.
«Come osa parlare in questo modo!»
«Se non osassi tante cose, amico, non sarei al suo servizio. Ma le dico chiaro e tondo quello che penso. Ho sentito dire che con voi politicanti tedeschi, quando un agente ha compiuto il suo lavoro non vi dispiace poi tanto che lo levino di mezzo.»
Von Bork balzò in piedi.
«Oserebbe insinuare che ho denunciato i miei agenti?»
«Non dico questo, ma da qualche parte c’è un informatore o un doppiogiochista, e sta a lei scoprirlo. Comunque, io non corro altri rischi. Io me la filo, e più presto è meglio è.»
Von Bork era riuscito a dominare la sua ira.
«Siamo stati alleati troppo a lungo per cominciare a litigare proprio adesso, nell’ora della vittoria», disse. «Lei ha fatto un ottimo lavoro e ha rischiato molto, e non lo dimenticherò. Se ne vada pure in Olanda, e da Rotterdam può imbarcarsi per New York. Fra una settimana, qualunque altra linea marittima sarà pericolosa. Quel libro lo imballerò con gli altri.»
L’americano teneva in mano il pacchetto e non fece il minimo gesto di porgerglielo.
«E la grana?», chiese.
«La cosa?»
«Il malloppo. La ricompensa. Le 500 sterline. Verso la fine, il cannoniere si era fatto maledettamente scorbutico e ho dovuto sganciargli altri cento dollari altrimenti nisba, né per lei né per me. “Niente da fare!” mi dice, e parlava sul serio, ma l’ultimo centone l’ha convinto. Dal principio alla fine, questo giochetto m’è costato duecento sterline, e quindi non creda che glielo dia senza avere la mia mazzetta in cambio.»
Von Bork sorrise con amarezza. «Sembra che lei non abbia un’opinione molto alta della mia onorabilità», disse, «vuole i soldi prima di consegnarmi il libro.»
«Be’, amico, gli affari sono affari.»
«Certo. Come vuole lei.» Si sedette al tavolo e riempì rapidamente un assegno, che però non porse al suo accolito. «Dopo tutto, dal momento che la mette su questo tono, signor Altamont», disse, «non vedo perché dovrei fidarmi di lei più di quanto lei si fidi di me. Capisce?», aggiunse guardando l’americano da sopra la spalla. «Sul tavolo c’è l’assegno. Ma ho il diritto di esaminare quel pacchetto prima che lei prenda i soldi.»
Senza parlare, l’americano glielo porse. Von Bork disfò la cordicella e i due involucri di carta. Poi restò a guardare per un momento, stupito e in silenzio, il volumetto azzurro davanti a lui. Sulla copertina, in lettere dorate, era stampata la dicitura Manuale dell’apicoltore. Per un solo istante l’agente segreto posò lo sguardo su quella scritta sorprendentemente banale. Poi, due mani di ferro gli cinsero il collo e una spugna imbevuta di cloroformio gli venne premuta sul viso.
«Un altro bicchiere, Watson!», disse Holmes tendendo la bottiglia dell’Imperial Tokaj.
Il massiccio autista che si era seduto accanto al tavolo si affrettò a spingere avanti il suo bicchiere.
«È un buon vino, Holmes.»
«Straordinario, Watson. Il nostro amico sul divano mi ha assicurato che proviene dalle cantine speciali di Francesco Giuseppe, nel Castello di Schoenbrunn. Sia gentile, apra la finestra. Il cloroformio non giova al palato.» La cassaforte era socchiusa e Holmes ne stava togliendo un dossier dopo l’altro, esaminandoli rapidamente uno per uno prima di sistemarli ordinatamente nella valigia di Von Bork. Il tedesco era sdraiato sul divano, russando come un contrabbasso, con le braccia e i piedi legati.
«Non abbiamo fretta, Watson. Non c’è pericolo di interruzioni. Le spiacerebbe suonare il campanello? In casa non c’è che la vecchia Martha, che ha recitato la sua parte alla perfezione. Sono io che le ho trovato questo posto prima di incaricarmi della faccenda. Ah, Martha, sarà contenta di sapere che va tutto bene.»
La simpatica vecchia signora era apparsa sulla soglia. Si inchinò sorridendo a Holmes non senza però gettare un’occhiata apprensiva alla figura sul divano.
«Non si preoccupi, Martha. Non gli abbiamo fatto alcun male.»
«Ne sono contenta, signor Holmes. Nei limiti del suo possibile, è stato un padrone gentile. Ieri voleva che andassi in Germania con sua moglie, ma questo non si sarebbe molto accordato con i suoi piani, vero, signore?»
«Proprio no, Martha. Finché lei era qui mi sentivo più tranquillo. Questa sera abbiamo atteso un bel po’ per il suo segnale.»
«Per via del segretario, signore.»
«Lo so. La sua macchina ci è passata accanto.»
«Pensavo che non si sarebbe mai deciso ad andarsene. Sapevo che non avrebbe voluto trovarselo qui, signore.»
«No certamente. Be’, dopotutto si è trattato solo di aspettare più o meno una mezz’oretta prima che la sua lampada si spegnesse per darci il via libera. Può venire domani da me a Londra, Martha, al Claridge Hotel.»
«Benissimo signore.»
«Immagino che lei abbia tutto pronto.»
«Sì signore. Oggi ha impostato sette lettere. Come al solito, ho gli indirizzi.»
«Perfetto, Martha. Gli darò un’occhiata domani. Queste carte», continuò dopo che la donna se ne fu andata, «non sono molto importanti perché, naturalmente, le informazioni che contengono sono state spedite già da tempo al governo tedesco. Questi sono gli originali, che non era facile far uscire dal paese.»
«Allora non servono a niente.»
«Questo non lo direi, Watson. Se non altro, serviranno a dimostrare ai nostri quali sono le informazioni che conoscono e quali quelle che non conoscono. Posso anche dire che molte di queste carte le ha avute tramite me, ed è inutile aggiungere che sono del tutto inattendibili. Sarebbe la gioia della mia età avanzata vedere un incrociatore tedesco attraversare il Solent attenendosi ai piani dei campi minati forniti da me. Ma lei, Watson» – interruppe il suo lavoro prendendo per le spalle il vecchio amico – «non l’ho ancora vista alla luce. Come l’ha trattata il tempo? Sembra il solito ragazzone di sempre.»
«Mi sento vent’anni di meno, Holmes. Raramente ho provato tanta gioia come quando ho ricevuto il suo telegramma che mi diceva di raggiungerla ad Harwich con la macchina. Ma lei Holmes – lei è cambiato pochissimo – tranne che per quell’orrenda barbetta a punta.»
«Sono i sacrifici che uno fa per la patria, Watson», rispose Holmes tirandosi il pizzetto. «Domani, non sarà che uno sgradevole ricordo. Con i capelli tagliati e pochi altri cambiamenti di poco conto, domani sicuramente ricomparirò al Claridge come ero prima di questa americanata – chiedo scusa, Watson, sembra che il mio inglese sia definitivamente inquinato – prima che mi occupassi di questo lavoretto americano.»
«Ma lei si è ritirato, Holmes. Abbiamo sentito dire che viveva come un eremita fra le sue api e i suoi libri in una piccola fattoria sulle South Downs.»
«Proprio così, Watson. E questo è il frutto dei miei ozii, il magnus opus della mia vecchiaia!» Prese il volume dal tavolo e ne lesse il titolo completo, Manuale di apicoltura pratica, con Osservazioni sulla Segregazione dell’Ape Regina. «L’ho scritto tutto da me. Osservi il risultato di meditazioni notturne e di giornate laboriose dedicate ad osservare quelle bestiole lavoratrici come una volta avevo osservato il mondo della criminalità londinese.»
«Ma come mai ha ripreso la sua professione?»
«Ah, me lo sono spesso domandato anch’io. Al ministro degli Esteri avrei anche potuto resistere, ma quando il Primo Ministro in persona si degnò di visitare la mia umile dimora...! Il fatto è, Watson, che questo gentiluomo sdraiato sul divano era un po’ troppo in gamba per la nostra gente. È in una classe a sé. Le cose andavano male, e nessuno riusciva a capire perché andassero male. Molti agenti sono stati sospettati e perfino arrestati, ma tutto stava ad indicare la presenza di una forza centrale, occulta e potente. Era assolutamente necessario portarla allo scoperto. Mi sono state fatte molte pressioni perché me ne occupassi. È un lavoro che mi è costato due anni, Watson, ma due anni non privi d’interesse. Quando le dico che ho iniziato il mio pellegrinaggio a Chicago, sono stato ammesso a una società segreta irlandese a Buffalo, ho procurato molti guai alla polizia di Skibbareen e così, finalmente, ho attirato l’attenzione di uno degli agenti tirapiedi di Von Bork il quale mi raccomandò come un elemen
to da prendere in considerazione, capirà bene che si è trattato di una faccenda molto complessa. Da quel momento, Von Bork mi ha onorato della sua confidenza, il che non ha impedito che gran parte dei suoi piani andassero maluccio e che cinque dei suoi uomini migliori finissero in carcere. Li tenevo d’occhio, Watson, e li coglievo appena erano maturi. Bene, signore, spero che non si senta troppo male!»
Quest’ultima osservazione era rivolta allo stesso Von Bork che, respirando a fatica e sbattendo gli occhi era rimasto disteso in silenzio ad ascoltare il racconto di Holmes. Ora, eruppe in un torrente di invettive in tedesco, col viso contorto dal furore. Holmes continuò il suo rapido esame dei documenti mentre il prigioniero continuava a lanciare maledizioni e bestemmie.
«Anche se poco musicale, il tedesco è la lingua più espressiva», commentò quando Von Bork tacque per pura e semplice stanchezza. «Guarda! Guarda!», aggiunse, osservando attentamente l’angolo di un ricalco prima di riporlo nella scatola.
«Questo dovrebbe servire a mettere in gabbia un altro uccellino. Non sapevo che il commissario di bordo fosse un tale farabutto, anche se lo tengo d’occhio da tempo. Signor Von Bork, lei avrà molte cose di cui rispondere.»
Con una certa difficoltà, il prigioniero si era messo a sedere sul divano e guardava il suo catturatore con un misto di stupore e di odio.
«Gliela farò pagare, Altamont», disse parlando in tono lento e deliberato. «Dovesse volermici tutta la vita, gliela farò pagare!»
«La solita vecchia canzonetta», disse Holmes. «Quante volte l’ho sentita in passato. Era il ritornello preferito del compianto professor Moriarty. Piaceva tanto anche al colonnello Sebastian Moran. Eppure sono ancora vivo e allevo api sulle South Downs.»
«Accidenti a lei, maledetto traditore!», gridò il tedesco cercando di liberarsi dai legacci con gli occhi lampeggianti d’ira.
«No, no, non siamo a questo punto», disse Holmes sorridendo. «Come le mie parole certo le dimostrano, il signor Altamont di Chicago in realtà non esiste. Me ne sono servito ed è scomparso.»
«Ma allora chi è?»
«Chi io sia non ha nessuna importanza ma, visto che la cosa sembra interessarla, signor Von Bork, posso dirle che questo non è il mio primo incontro con un componente della sua famiglia. In passato ho lavorato molto in Germania e probabilmente il mio nome le è familiare.»
«Vorrei proprio saperlo.»
«Sono stato io a provocare la separazione fra Irene Adler e il defunto re di Boemia quando suo cugino Heinrich era inviato imperiale. E sempre io che ho impedito al nichilista Klopman di assassinare il conte Von und Zu Grafenstein, fratello maggiore di sua madre. E ancora io...»Von Bork si rizzò a sedere sbalordito.
«C’è solo un uomo...», esclamò.
«Esattamente», rispose Holmes.
Con un gemito, Von Bork ricadde sul divano. «E quasi tutte quelle informazioni le ho avute tramite lei», disse. «Cosa valgono? Cosa ho fatto? Sono rovinato per sempre!»
«Effettivamente, non sono molto affidabili», disse Holmes. «Dovranno essere controllate e lei non ha molto tempo per farlo. Il suo ammiraglio forse scoprirà che i cannoni sono un po’ più potenti di quanto si aspetta, e gli incrociatori un po’ più veloci.»
Von Bork si portò le mani alla gola in un gesto di disperazione.
«Ci sono molti altri dettagli che senza dubbio verranno fuori a tempo debito. Ma lei, Von Bork, possiede una virtù molto rara per un tedesco; lei è uno sportivo e non mi serberà rancore sapendo che lei, che tante volte ha dato scacco agli altri, alla fine ha perso la partita. Dopotutto, lei ha fatto del suo meglio per il suo paese, e io per il mio, e cosa c’è di più naturale? Inoltre», aggiunse con una certa bonomia posando la mano sulla spalla dell’uomo prostrato, «è meglio che cadere davanti a un nemico meno meritorio. Le carte sono pronte, Watson. Se mi dà una mano col nostro prigioniero, credo che potremo partire subito per Londra.»
Non fu facile spostare Von Bork perché era un uomo forte e disperato. Alla fine, tenendolo per le braccia, i due amici lo condussero passo passo attraverso quel giardino che aveva calpestato con tanta orgogliosa sicurezza ricevendo le congratulazioni del famoso diplomatico, solo poche ore prima. Dopo una breve colluttazione finale fu issato, con mani e piedi ancora legati, nella piccola vettura. Accanto alla sua preziosa valigia.
«Mi auguro che stia comodo per quanto lo consentono le circostanze», disse Holmes quando l’ebbero sistemato. «Sarebbe eccessivo se mi prendessi la libertà di accendere un sigaro e metterglielo in bocca?»
Ma le cortesie erano sprecate per quel tedesco infuriato.
«Immagino lei si renda conto, signor Holmes, che se il suo governo approva la sua condotta è un vero e proprio atto di guerra?», disse.
«E che mi dice del suo governo, e di questa condotta?», rispose Holmes tamburellando con le dita sulla valigia.
«Lei è un privato cittadino. Non ha mandato per arrestarmi. L’intero procedimento è assolutamente illegale e oltraggioso.»
«Assolutamente», convenne Holmes.
«Sequestrare un cittadino tedesco.»
«E rubare i suoi documenti privati.»
«Bene, si rende conto della sua posizione, lei e questo suo complice. Se dovessi invocare aiuto mentre attraversiamo il villaggio...»
«Mio caro signore, se lei facesse una cosa così sciocca, probabilmente arricchirebbe le due insegne delle nostre locande contadine con una terza, quella del “Prussiano Impiccato”. Gli inglesi sono gente paziente ma, al momento, non sono molto di buon umore e sarebbe bene non stuzzicarli troppo. No, signor Von Bork, lei verrà con noi buono e tranquillo a Scotland Yard, da dove potrà mandare a chiamare il suo amico, il barone Von Herling, per chiedergli se non sia ancora possibile per lei occupare il posto che le ha prenotato nell’ambasciata. In quanto a lei, Watson, lei è in procinto di tornare alla sua antica professione, se non sbaglio, quindi Londra non le rimarrà fuori strada. Resti qui con me sulla terrazza; potrebbe essere la nostra ultima occasione di scambiare due chiacchiere in pace.»
I due amici si immersero per qualche minuto in una amichevole e intima conversazione, ricordando i giorni passati, mentre il prigioniero cercava invano di liberarsi dalle corde. Tornando verso la macchina, Holmes indicò il mare illuminato dalla luna e scosse il capo, pensieroso.
«Si sta avvicinando il vento da Est, Watson.»
«Non credo, Holmes. Fa molto caldo.»
«Caro vecchio Watson! Unico punto fisso in un’epoca in mutamento. Si sta avvicinando il vento dell’Est, un vento che non ha mai soffiato sull’Inghilterra. Sarà un vento freddo e pungente, Watson, e molti di noi rabbrividiranno alle sue raffiche. Ma è sempre un vento mandato da Dio e, passata la bufera, una terra migliore, più pulita e più forte si riscalderà ai raggi del sole. Metta in moto, Watson, è tempo di andare. Ho un assegno per cinquecento sterline che dev’essere incassato prima possibile; il traente sarebbe capacissimo di bloccarlo, se potesse.»


(*) Tratto da "L’ultimo saluto. Il taccuino di Sherlock Holmes" di Arthur Conan Doyle, Newton & Compton Editori, Roma, 1995.

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